GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 21 settembre
2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La scoperta della
partecipazione del cervelletto alla regolazione del comportamento istintivo, e
in particolare a quel controllo dei processi omeostatici che ha avuto per tanti
decenni nell’ipotalamo la sede cerebrale privilegiata, ha modificato un paradigma
della neurofisiologia classica, imponendo per la prima volta, dopo oltre un
secolo, un cambiamento nella ripartizione in capitoli di manuali e trattati.
Dopo la scoperta della cooperazione a processi cognitivi, la definitiva
dimostrazione dell’intervento del cervelletto nella regolazione della sete,
ossia dell’istinto di assunzione di acqua per conservarne nell’organismo i
volumi fisiologici secondo la ripartizione tra compartimenti extracellulare ed
endocellulare, compie una vera e propria rivoluzione.
Introducendo la recensione di
uno studio sul cervelletto[1], il 22 giugno abbiamo così sintetizzato le tappe principali del nostro impegno
recente nel seguire la ricerca sulla neurofisiologia di questa parte dell’encefalo:
I
continui progressi nelle conoscenze sul cervelletto richiedono la nostra
attenzione costante come recensori: a maggio abbiamo presentato tre nuovi studi
che, nell’insieme, costituivano già un piccolo aggiornamento. In precedenza
abbiamo riportato lo studio di Jessica Bernard che fa il punto delle conoscenze
sulle interazioni ippocampo-cerebellari e le considera anche in relazione all’invecchiamento
e al declino cognitivo legato all’età[2]. Ancor prima, nel mese di febbraio, abbiamo visto
come la struttura dell’encefalo descritta quale organo per la prima volta da
Vicq d’Azyr controlli direttamente la sostanza nera o Substantia
Nigra di Sömmering del mesencefalo, agendo direttamente sulle popolazioni
dopaminergiche connesse, regolando i valori di ricompensa connessi col
movimento[3]. Ci siamo poi occupati dei nuovi meccanismi dei
granuli cerebellari[4]. Abbiamo recensito anche uno studio su un ruolo del
nucleo interposito: i neuroni di questa formazione nucleare generano
previsioni che ottimizzano nel tempo e nella forma la
riposta di un movimento condizionato[5].
Nell’apprendimento
cerebellare classico, le cellule di Purkinje (PkC)
associano i segnali di errore delle fibre rampicanti (CF) alle cellule
dei granuli (GrC)[6] predittive che sono attive subito prima (circa 150 ms). Il cervelletto
partecipa anche all’attuazione di comportamenti caratterizzati da una scala
temporale di maggiore durata. Martha G. Garcia-Garcia e colleghi coordinati da
Mark J. Wagner, per indagare come i circuiti GrC-CF-PkC possono apprendere previsioni della durata di secondi,
hanno rilevato immagini simultanee dell’attività GrC-CF
durante l’apprendimento condizionato con una ricompensa d’acqua ritardata. I
risultati dell’osservazione sperimentale sono molto significativi[7].
Come abbiamo più volte
ricordato, fin dalla fondazione la nostra società scientifica ha promosso la
conoscenza delle nuove acquisizioni sulla neurofisiologia cerebellare che
definitivamente superavano, già a quel tempo, la concezione classica di
struttura esclusivamente motoria. Ora sono numerosi gli studi su ruoli delle
strutture e dei circuiti cerebellari nella cognizione, nelle sensazioni, nelle
emozioni e nelle funzioni del sistema nervoso autonomo.
Ila Mishra
e colleghi hanno rilevato e dimostrato che le cellule di Purkinje del
cervelletto nel topo sono attivate dall’ormone asprosina,
e determinano un aumento della sete, ossia del desiderio di bere e dell’esecuzione
di atti di assunzione di liquidi. Il prosieguo della sperimentazione ha portato
a una conclusione di sicuro interesse.
(Mishra
I. et al., The cerebellum modulates thirst. Nature
Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-024-01700-9, 2024).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Genetics and Genome Sciences, Case
Western Reserve University, Cleveland, OH (USA); Harrington Discovery
Institute, University Hospitals Cleveland Medical Center, Cleveland OH (USA); Division
of Endocrinology, Diabetes and Metabolism, Department of Internal Medicine,
University of Kentucky, Lexington, KY (USA); Pennington Biomedical Research
Center, Louisiana State University, Baton Rouge, LA (USA); Department of
Pathology & Immunology, Baylor College of Medicine, Houston, TX (USA); Jan
and Dan Duncan Neurological Research Institute at Texas Children’s Hospital,
Houston, TX (USA); Department of Biology, College of Arts & Sciences,
University of Dayton, Dayton, OH (USA); Department of Molecular and Cellular Biology,
Baylor College of Medicine, Houston, TX (USA); Department of Electrical &
Computer Engineering, School of Engineering, University of Dayton, Dayton, OH (USA);
Department of Pediatrics, Baylor College of Medicine, Houston, TX (USA);
Department of Medicine, University Hospitals Cleveland Medical Center,
Cleveland OH (USA).
Come in precedenti occasioni, introduciamo il lettore non specialista allo
studio prevalentemente anatomico del cervelletto. I brani che seguono sono
stati riportati di recente nell’ultimo aggiornamento sulla ricerca in questo
campo[8].
Il cervelletto è quella
parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in
tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si presenta
costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata verme
cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più
bassi vertebrati (paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi
cerebellari. È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio
e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro
trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera
raramente i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava
parte del peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo
in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti
secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il fascino esercitato sugli antichi morfologi
dalla struttura corticale cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è
stato superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli
della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo
nome di albero della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi
contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae affatto origine
dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia
dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae
che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple
costituite da minuscole scagliette foliacee[9]. A differenza
del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente
con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo
perifericamente nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato
pirenoforico corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza
bianca che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo,
appare come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.
La corteccia del cervelletto ha lo spessore
di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di
aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di colore
grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito tendente al
fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.
L’esame microscopico della corteccia
cerebellare consente di distinguere uno strato esterno o molecolare, che
costituisce circa la metà dell’intera struttura e presenta abbondanza di fibre
e scarsità di cellule, e uno strato interno o granuloso caratterizzato
da numerosissime cellule.
Fra queste due lamine di tessuto grigio si
interpone uno strato intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata
da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile:
le cellule di Purkinje.
Le cellule di Purkinje sono disposte a
formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano lievi irregolarità,
perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono dislocati verso la
superficie esterna della corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da
meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago
Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60
micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano al polo
superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un tronco
dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni
principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella
dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello
strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione
che si può seguire fino alla superficie piale”[10], secondo
la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le numerosissime spine
dendritiche, che in questi neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura
al microscopio elettronico. È interessante la disposizione della fitta arborizzazione
dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di
vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione
di spalliera dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è
infatti disposta su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella
della corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a
spalliera “si espande per traverso alla lamella”[11].
Dal polo opposto o interno della cellula di
Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di
mielina[12],
presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del tronco
dendritico, all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo
un tratto più o meno breve, l’assone emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano
nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali retrogradi
fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando
con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra
o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio
retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della
spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica
corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il
neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare,
dove costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia
la via cortico-nucleare cerebellare.
In estrema sintesi la struttura della
corteccia cerebellare può essere schematizzata come segue.
1)
Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato
dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule
di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli,
che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.
2)
Lo strato granuloso, interno, caratterizzato
dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari
nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto
lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come
da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a pennacchio,
particolari elementi della glia descritti per la prima volta da Cajal.
3)
Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje
attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato
considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole
cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e
dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono
l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto
istologico”.
La corteccia del cervelletto
è la regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore precisione la
correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca che ha portato
alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto inizio nel 1888 con
gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il metodo dell’impregnazione
argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel secolo successivo grazie
soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori. Dalla
scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo
contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia
ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello
spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[13].
Con questi studi
classici fu anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre
rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a
criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.
Le fibre rampicanti
provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore, e ciascuna
si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo specifico bersaglio
fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche più di 300 sinapsi: la
scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e fa scomparire ogni
attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles,
Sasaki e Llinas.
Le fibre muscoidi,
al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo poche sinapsi
su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione dei piccoli
interneuroni detti granuli.
Una descrizione anche
sintetica dell’organizzazione funzionale della corteccia del cervelletto richiederebbe
uno spazio di dimensioni sproporzionate in rapporto al testo e all’oggetto dell’articolo,
per cui si rimanda alle trattazioni di neuroanatomia funzionale, corredate da immagini
che consentono la comprensione dei rapporti reciproci fra cellule e dell’organizzazione
spaziale di questi sistemi neuronici[14].
All’interno della struttura del cervelletto le lamine midollari confluiscono
formando una massa di sostanza bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei
pari: dentato, globoso, emboliforme e nucleo del tetto.
Il nucleo dentato è il più grande e laterale dei nuclei, e si presenta
come una lamina di neuroni irregolarmente ripiegata, che racchiude una massa di
fibre principalmente costituite da assoni e dendriti dei neuroni dentati; queste
cellule sono di media grandezza (20-30 micron). La sua forma ricorda quella di
una borsetta di pelle con l’apertura rivolta in direzione mediale, e
corrispondente all’ilo del nucleo che contribuisce alla costituzione del peduncolo
cerebellare superiore.
Il nucleo globoso (o n. posteriore interposto) è sito medialmente al
nucleo emboliforme ed è continuo con il nucleo del tetto. Come gli assoni del
nucleo dentato e dell’emboliforme le fibre dei suoi neuroni entrano nella
costituzione del peduncolo cerebellare superiore.
Il nucleo emboliforme (o n. anteriore interposto) è laterale al nucleo
globoso e si continua lateralmente con il nucleo dentato.
Il nucleo del tetto è localizzato in prossimità della linea mediana,
al margine del tetto del quarto ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente
di grandi dimensioni (40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia
nella sostanza bianca della commessura cerebellare[15]. Dopo la loro decussazione, costituiscono
il fascicolo uncinato che passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore
per giungere al nucleo vestibolare del lato opposto. Le fibre che non
incrociano entrano nel nucleo vestibolare omolaterale; un piccolo contingente
ascende verso il peduncolo cerebellare superiore[16].
La sperimentazione recente ha fornito dati molecolari
a sostegno degli studi che hanno dimostrato un ruolo del cervelletto nella
fisiologia cognitiva, in particolare modulando il circuito a ricompensa dopaminergico,
il linguaggio e il comportamento sociale.
I nuclei del cervelletto possono essere
definiti sub-strutture che trasferiscono informazioni elaborate nel cervelletto
da questa sede ad altri territori dell’encefalo. Un elemento caratteristico
della specie umana è il notevole sviluppo della connessione di questi aggregati
grigi con la corteccia cerebrale del lobo frontale[17].
Ritorniamo allo studio qui recensito di Ila Mishra e colleghi sul ruolo del cervelletto nella
regolazione della sete.
I ricercatori hanno innanzitutto dimostrato che
le cellule di Purkinje del topo sono attivate dall’ormone asprosina
e così determinano aumento della sete.
Ricordiamo che l’asprosina
è un ormone peptidico codificato dal gene FBN1 come parte della proteina protofibrillina, da cui viene rilasciato per
proteolisi C-terminale; il peptide è prodotto nei mammiferi da tessuti, come il
tessuto adiposo, che stimolano il fegato al rapido rilascio di glucosio per una
via cAMP-dipendente.
Mishra e
colleghi hanno verificato l’effetto sui neuroni di Purkinje dell’attivazione optogenetica
e chemogenetica: in entrambi i casi si aveva la sollecita induzione dell’andare
a bere da parte degli animali. I recettori dei neuroni di Purkinje
specifici per l’asprosina (Ptprd)
sono stati sperimentalmente deleti per valutarne il ruolo: si aveva riduzione
del volume di acqua assunta dagli animali, senza minimamente interessare la
quantità di cibo mangiata dai topi, e si determinava l’abolizione dell’effetto
dipsogeno dell’asprosina, che dipende interamente dai
suoi recettori.
Importante sottolineare che tutte queste
manipolazioni non interessavano le due maggiori funzioni delle cellule di
Purkinje cerebellari: l’apprendimento motorio mediato dai neuroni di
Purkinje e la coordinazione. Esiste, dunque, un controllo indipendente di
queste funzioni divergenti delle principali cellule cerebellari.
In conclusione, i risultati di questo studio
dimostrano che il cervelletto è una struttura encefalica che regola la sete, e
che la via di segnalazione asprosina-Ptprd
costituisce un potenziale target terapeutico per la gestione dei
disturbi della sete.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono
nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina
“CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-21 settembre 2024
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e culturale non-profit.
[1] Note e Notizie 22-06-24 Granuli-fibre
rampicanti cerebellari per tracciare gli intervalli.
[2] Note e Notizie 09-03-24 La
nuova via cervelletto-ippocampo.
[3] Note e Notizie 03-02-24 Il
Cervelletto modula direttamente sostanza nera e ricompensa.
[4] Note e Notizie 17-02-24 Nuovi
meccanismi dei granuli del cervelletto.
[5] Note e Notizie 02-03-24 Un
ruolo del nucleo interposito del cervelletto.
[6] Si veda sui granuli la già citata
recensione Note e Notizie 17-02-24 Nuovi meccanismi dei granuli del
cervelletto.
[7] Note e Notizie 22-06-24 Granuli-fibre
rampicanti cerebellari per tracciare gli intervalli.
[8] Note e Notizie 11-05-24 Tre
nuovi studi sul cervelletto.
[9] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato
per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska
e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae;
come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della periferia”, in America
si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della sostanza
bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana di Testut e
Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale
la translitterazione dal greco è resa con thuya.
[10] Testut e Latarjet, op. cit., vol.
III, p. 242.
[11] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.
[12] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[13] Llinas R. R., La corteccia del
cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello –
organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le
Scienze Editore, Milano 1978.
[14] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia
del cervelletto umano è sorprendente.
[15] È interessante notare che non si
tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso,
ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano
commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea
mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.
[16] Note e Notizie 23-01-21 Origine
nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[17] Questo richiamo sintetico all’anatomia
cerebellare si trova anche in Note e Notizie
15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale, in cui si recensisce un interessante studio di Matthias Fastenrath e colleghi.